Muoio in quella colpa
che ha vestito di ricordi
l�immagine specchiata
nel vuoto del silenzio.
Urlano le ombre
dietro il mio mantello
giudici compagni
ridono di me.
Male immaginario
sogno copertura
letto di pensieri
nelle note del tormento.
Segreto di un cammino
riflesso di mistero
riconosci la mia luce
e lasciami scaldare..
Autore: Anonimo
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Epilogo solo una cosa vorrei sapere e poi tornerò nel silenzio… perchè si scappa? cosa ci fa cambiare direzione tornare a negare e a negarsi senza senso apparente? perchè le persone fuggono da me e io fuggo da loro perchè non ho dato risposta e senso al nostro vuoto allontanamento… la luce che illuminava i nostri sguardi è affogata nella cera e non so perchè… il fuoco che accende i miei pensieri torna a spegnersi quando non reggo il peso delle domande.
Autore: Alberto Nimis E-mail: nimisalberto@hotmail.comDialogo
Il climax dei dialoghi telefonici è disarmante. Si parte distanti, della distanza fisica: ciao, come è andata, bene sono un po’ stanca, sai oggi non c’era la Marta, mi ha lasciato un sacco di cose da fare… si scorrono così le note della giornata tra timbri di orari, doveri dovuti, doveri disattesi. Ma ci si aspetta qualche cosa di più: un pallido complimento, un desiderio di incontro, una voce rassicurante, ma entrambi i rovesci si aspettano ciò, e così ognuno aspetta l’altro per qualche parola, per qualche frase, poi ognuno comincia a cercare di stimolare l’altro aspettando che l’altro si muova per primo; le parole passano, scorrono più lente e lo sguardo si annebbia, si perde l’immagine dei viaggiatori vicini sentendo più forte l’imbarazzo della loro presenza.
Si passa allora alle domande provocatorie, quelle che richiamano i torti, le mancanze, quelle che sai risvegliano i nervi, e tendono i tuoi che è quello che volevi e non puoi più fermare; la voce cresce ma anche l’imbarazzo, la rabbia perchè lui ti fa pensare come sei fatta, perchè non l’hai fatto, perchè ogni volta bisogna discutere, e tu non capisci e lui non ti viene incontro. Domande importanti. risposte allusive. perchè credi stiamo insieme, me lo chiedo anch’io. Così si rimbalza a puntare più forte a colpire più duro. Situazione insostenibile concludiamo telefonata, non posso parlare di queste cose in mezzo alla gente… butteresti il telefono, lo nascondi nell’angolo più remoto della borsa sparisca per sempre, insieme a lui, alla sua faccia, alla sua arroganza.
Libro. È inutile trascorrere segni privi di senso, nella mescola dei pensieri, le parole scritte compaiono a sprazzi sparpagliate qua e là nella pagina. finestrino, libro, vuoto. libro, vuoto finestrino, vuoto. incessante distrazione del non cercare nulla, incessante, impotente distrazione del cercare tutto. Ultimo sguardo alla sequenza di segni, non posso leggere. chiuso. sospiro. vuoto, finestrino, vuoto. finestrino, vuoto, borsa. borsa, vuoto, telefono.
Dita veloci sui tasti per comporre messaggio di pace, dita veloci sui tasti per sfogare immediata vendetta.
Aspetta risposta… non arriva. Aspetta risposta, non arriva. Aspetta risposta sfogliando nuovamente le pagine, non arriva. Telefono spento? Squillo. Libro. libro, finestrino, vuoto.
Autore: Alberto Nimis
E-mail: nimisalberto@hotmail.comMilano
Arrivo in stazione centrale, è mattino, i viaggiatori scendono, non sono molti ma si distribuiscono su tutto il marciapiede, sono eterogenei i viaggiatori e sanno di esserlo, ognuno si identifica nel proprio gruppo, una gita in montagna: calzoni verdi zaino scarponi lucidati, partenza per le spiaggie di qualche meta lontana: bermuda sandali valigie etichettate, giornata di lavoro: borsa camicia sguardo pallido.
Mi dondolo ai passi cadenzati della fiumana di gente e al rintocco strisciante delle rotelle delle borse da viaggio, è mattino. È mattino del quattordici di Agosto, e non succederà niente di sconvolgente oggi, la giornata ci camminerà davanti come queste persone con i loro sogni, le aspettative e il loro bagaglio di frustrazioni, trascinato su rotelle di plastica per sembrare meno pesante e noi cammineremo presso loro con il nostro fardello di quotidianità, di sogni e aspettative trascinate a strappi senza rotelle.
È mattino del quattordici di Agosto e oggi scriverò del mattino del quattordici Agosto, non ci sarebbe nessun altro motivo per ricordarlo, se non il silenzio di strade deserte in cerca di altro.
pENSIERI sERENI
Autore: Alberto Nimis
E-mail: nimisalberto@hotmail.com
A volte non riesco a distinguere tra realtà e poesia, e mi trovo imprigionato in un mondo strano, diverso, una sorta di limbo denso di luce e colore; popolato da creature che non riconosco e che non distinguo. Ombre sfuggenti, forse fantasmi. Per confortarmi penso ad albe in cui il sole irrompe tra cieli grigi, dopo una notte di pioggia ininterrotta e scrosciante; immagino, poi, tramonti infuocati, in cui tutto il cielo si tinge di quel rosso ardente che lascia esterrefatti. Le nuvole, irreale velluto del cielo, si consumano allora nel vento, si assottigliano e si spezzano in milioni di scintille, o si infiammano come grandi e possenti falò, ergendosi per altezze incommensurabili al di sopra del mondo. Si dice che il giorno muoia al tramonto, ma non è così. Il sole non muore mai, se ne va solamente. Se ne va. ma solo per tornare.
Ricordo che era stata una giornata fredda e piovosa. Rincasavo ed era pomeriggio, quando d'un tratto, ad occidente, una forte luminosità quasi mi abbagliò.
Fu una sensazione meravigliosa vedere il sole che, laggiù in fondo, al di là delle montagne, faceva capolino per pochi istanti prima di andarsene via e scomparire al di là dell'orizzonte. Quindi anche la luce non muore mai, se ne va solamente. Se ne va. ma solo per tornare.
Possono capitarci anche le cose più brutte ma nessuna di esse potrà mai privarci del vento, dell'erba, degli alberi in fiore, del respiro della Terra, della vita che torna in primavera, dell'affetto, dell'emozione, delle lacrime, del desiderio, del sorriso di un bambino, del sentir battere il cuore nel petto della persona che si ama, di una corsa in un prato, e di tutto ciò in cui il cuore trova riposo e gioia. compresi i ricordi di chi non c'è e di chi non può più esserci. Essi scaldano il cuore, fanno star male, ci spaccano in due e ci fanno sentire impotenti di fronte ad un destino finanche bastardo e insensibile.
Viene voglia di alzarsi all'alba, con il petto che arde di rabbia, e correre fin sulla cima del più alto albero di un veliero, nel bel mezzo della tempesta, tra onde alte come case e folate di vento che graffiano in viso, ed urlare a quella vecchia Puttana che qualsiasi cosa faccia, qualsiasi trucco, scherzo, giochetto metta in atto, non riuscirà mai a distruggerci, a sconfiggere un cuore come il nostro, forte, deciso e fiero. E con l'arpione in pugno ed in fondo al cuore il sole rovente del mezzodì, il desiderio sarebbe di scagliare il colpo più potente, ammazzare quel demonio e farlo scomparire tra i flutti, nel profondo blu, il colore della disperazione e della morte.
Il desiderio sarebbe diventare assassini per colpire chi ha assassinato, uccidere chi uccide. Ma è davvero tutto qui?
Dalla cima del più alto albero passa un istante infinito. Il vento cessa di soffiare, l'oceano si placa, nel cuore si spegne quel sole rabbioso, è il tramonto di un giorno di distruzione. Riecco, allora, il demone aggirarsi tra le onde, prima si immerge, per scomparire nel blu, poi risale minaccioso, quasi al pelo dell'acqua, e sfiora il veliero con la sua immensa pinna caudale. Non fa più paura, però. L'arpione che tieni in mano è ora un'arma inutile, frutto di rabbia più che di giustizia. Gettarlo in mare è l'unica soluzione, lontano, e stavolta è lui a scomparire tra i flutti, nel blu che diventa l'azzurro di un oceano riscopertosi tranquillo. Ed è finalmente un blu di libertà e vita, il colore del destino.
Rabbia, tormento, apprensione sono inutili. Quello che resta della grande avventura per mare, dall'alba al tramonto di un giorno di distruzione come tanti altri, sono solo bianche ceneri che si perdono nel vento e un sorriso velato, che nasconde nello spazio di pochi centimetri l'infinito rammarico di non aver avuto vendetta e l'infinita gioia di aver meritato di rivedere il sole, domani, con gli occhi di un giusto. Tutto qui. Nient'altro.
Il sole rispunta all'orizzonte, proprio come lo vidi quel pomeriggio, dal cruscotto della mia auto.
Scopro, allora, che anche il più feroce giorno di distruzione può concludersi con un trionfo di nubi e un piccolo disco infuocato che muore oltre le Alpi, accompagnato da una autoradio che suona un Frank Sinatra caldo, magico e commovente.
Vita e morte vanno a braccetto. si dice. Secondo me, però, un lento di tanto in tanto se lo fanno pure!!!
Autore: Fabrizio Francato
Email: ffrancato@libero.it
Scorrevo i ricordi e ti ho vista…
camminavi la borsa a tracolla
su un grigio di acciaio e cemento
e il bianco respiro di tabacco
Non parlo di bellezza…
pensavo all’intrecciarsi delle linee del tuo volto
del loro perdersi in quelle dei capelli
al taglio dei tuoi occhi attenti
Autore: Alberto NimisGli alberi di inverno
Tendono braccia al cielo d’inverno
i fianchi robusti gli sguardi velati
si allungano, disperano, graffiano bruma biancastra.
grondanti rugiada si abbandonano al pianto
Gridano ancora fischiati dal vento
le unghie affilate a cercare un appiglio
e posano nudi, carezzati la sera
allungati sull’ombra d’una terra non vera.
Autore: Alberto NimisScienziali
Ogni riferimento a fatti, persone o cose realmente esistite o esistenti è puramente casuale
Sembrava una giornata come tante altre, ma non lo era. Axel Hoffmann ebbe una sorpresa, sotto alcuni aspetti bella, sotto altri triste. Axel, come al solito, tornò da scuola a piedi, fece la stessa strada, si fermò a vedere le stesse vetrine, vide lo stesso pullman sorpassarlo per un soffio e arrivò a casa. Salutò la madre, pretese subito di mangiare, raccontò alcune cose successe a scuola, telefonò a Patricia e a Simon. Usò un po' il computer, andò al cesso, guardò per un po' la tele e poi uscì e andò dalla sua ragazza. Tutto era come ogni monotona giornata, ma ad Axel tutto questo tran-tran piaceva.
Arrivò da Patricia con i classici 10 minuti di ritardo, suonò il campanello, rispose al citofono con la solita frase “Ehm… sono Axel” (come se gli avessero chiesto quante stelle ci sono in cielo). Prese l'ascensore, schiacciò per il quinto piano, arrivò sul pianerottolo di casa Duglas e qui ad aspettarlo c'era Patricia. Si salutarono, lei lo fece accomodare in camera, guardarono la tele, si raccontarono le loro cose e Axel tornò a casa: tutto come al solito, fino ad allora. Tornò a casa percorrendo la stessa strada, al buio, col solito lampione rotto ormai da mesi; per la prima volta non passava nessuna persona, o macchina, o animale: deserto. L'aria sembrava ferma, Hoffman alzò il volume del walk-man, continuò a camminare aumentando il passo, Si sentì chiamare, si girò: nessuno. Proseguì per la sua strada, di nuovo una voce gli ghiacciò la schiena, Axel si girò: nessuno. Riprese a camminare, aumentando ancora il numero dei passi, per la terza volta sentì una voce dietro a sè, ma non si volse, pensò che fosse la sua immaginazione, continuò a tirare dritto, ma alla voce si aggiunse uno strappo alla spalla sinistra di Axel, che gli fece smettere la camminata. Inghiottì la saliva per far passare la paura, si voltò ad occhi chiusi, sentì due mani gelide accarezzargli le guance e, a quel punto, aprì gli occhi. Un sospiro di terrore uscì dalla bocca del ragazzo nel vedere lo spettacolo che gli appariva innanzi. “Frank…, ma… ma… tu eri morto… Sono venuto al tuo funerale, come fai a essere qui ora?” Una risata sadica fuoriuscì da Frank. “…Amico, on sai che alcuni tornano dall'aldilà'? Io sono uno di loro, devo ringraziare i miei genitori che non mi hanno battezzato; ora posso giocare con la morte stessa, che non mi coglierà mai prigioniero del male perchè ormai il male sono io” A queste parole Hoffman spalancò gli occhi pieni di lacrime. “Su, Axel, non fare così, ho sempre odiato gli uomini che piangono. Piuttosto, perchè non mi segui nella mia strada?” “Ma… veramente io… io sto bene nella mia vita. Non ho bisogno di niente…” “Ah, ah, ah, è inutile che cerchi di mentire a te stesso, io so cosa vorresti: vorresti avere più coraggio e più fiducia in te stesso, vorresti smetttere di andare a scuola, vorresti spaccare la faccia a quello scemo che fa la corte a Patricia, vero?” “Come fai a saperlo?… Questi sono i miei pensieri di un momento fa, ma come fai?” Un'altra risata riempì la schiena di Axel di brividi. “E' uno dei nostri poteri, ma ne abbiamo altri: sappiamo volare e convincere le persone, Noi siamo degli Immortali. Allora, amico, che ne dici di seguirmi, per poter vivere in eterno, cosa aspetti a veder avverati i tuoi sogni? Io ho la possibilità di farlo”.
Un attimo di silenzio e poi Axel Hoffman mormorò con un tono piuttosto basso la sua risposta “Sì!” La risata dell'Immortale in quell'istante spaccò il silenzio. “Hai fatto un affare, Hoffmann, ringraziami…” E pulendosi i denti sporchi di sangue, il vampiro scomparì in una leggera nebbia. Il corpo del giovane immortale giaceva per terra senza vita, o meglio senz'anima. Da quel momento sarà un altro vampiro. Dovrà vivere nutrendosi di altre persone, potrà ipnotizzare chiunque, potrà convincere tutte le persone che vorrà. Dovrà stare attento all'alba, smettere di andare in Chiesa, di credere in Dio, e dovrà nascondersi dai cacciatori di vampiri. Dovrà smettere di frequentare Patricia, la sua famiglia, i suoi amici. D'ora in avanti Axel Hoffman sarà davvero solo, almeno che non inizi a creare una generazione di vampiri, tutti uguali a lui, ma forse non cene sarà bisogno, in fondo ogni uomo è solo e può contare solo su se stesso.