Tiro al bersaglio
Nella stanza 212 dell’Hotel Royal, il sicario era appostato alla finestra.
Il suo fucile di precisione M1903 Springfield poche volte l’aveva tradito e vista la cura nel montarne ogni singola parte, poteva aspettarsi che anche questa volta il colpo sarebbe andato a segno.
Non gli rimaneva altro da fare che continuare a tenere sott’occhio la situazione, stare attento che il suo bersaglio non comparisse anzitempo all’uscita della Sala Congressi e attendere l’eventuale segnale concordato con il portavoce di Don Orazio.
Scrutava la strada già da qualche ora. Aveva fatto in tempo a vedere l’entrata di tutti gli ospiti della riunione. Aveva visto anche Don Luca in compagnia di un suo picciotto e questa era l’unica cosa che minacciava la sua tranquillità.
Per il momento però non voleva pensare a nulla che avesse potuto andare storto. Tanti ne aveva fatti cadere e probabilmente oggi avrebbe ricevuto l’ordine di farne cadere un altro. E non avrebbe sbagliato.
Mancava poco alle undici e mezza del mattino e vide un uomo affacciarsi alla finestra e appendere un drappo rosso. Era il segnale. Ora non rimaneva che attendere l’uscita della sua vittima.
Jackie aveva lasciato il Club Apollo da meno di una quarantina di minuti.
Non essendo riuscito a raccogliere nuove informazioni e tanto meno ad introdursi nel locale aveva pensato che era meglio se si concentrava su quanto già aveva. E in ballo di scottante c’era la pista di Livì.
Per questo motivo aveva deciso di tornare nuovamente a casa sua per cambiarsi e tornare a vestire dei panni più consoni per un incontro con la stella dello spettacolo.
Mentre parcheggiava fuori dall’Hotel Royal vide le macchine dei picciotti di Don Luca. Sperava di riuscire a muoversi liberamente ancora a lungo, stranamente non gli era stato ancora messo alle calcagna Tommy.
Decise allora di muoversi velocemente. Entrò nella Hall e si diresse verso il receptionist. - “Buon giorno. Mi scusi avrei bisogno di sapere il numero della camera di Livì Ariette.”
L’altro lo guardò un po’ stranito. - “E chi lo sta richiedendo?”
L’orientale rispose con semplicità. - “Sono Jackie Lee, il giornalista de “La Voce di Crylo”, nonché un amico di Livì…” - sapeva di aver esagerato ma a quel punto tanto valeva giocarsela.
Nino alzò un sopracciglio. - “Lei non ha nemmeno idea di quanti giornalisti vengono qui sostenendo di essere amici della signorina Ariette e che poi vengono puntualmente messi alla porta… comunque…” - e senza finire la frase prese la cornetta del telefono.
Dai movimenti del receptionist, Jackie vide che si stava mettendo in comunicazione con la stanza 305. Informazione che nel peggiore dei casi poteva comunque tornargli utile.
“Sì signorina Ariette, sono Nino. Ho qui una persona che vorrebbe incontrarla… sì… dice di essere un suo amico… è un giornalista… ah ecco, come immaginavo… ha detto di chiamarsi Jackie Lee. Come? Lo conosce? Ah… in questo caso… va bene, la saluto.” - riagganciò la cornetta e voltandosi verso l’orientale aggiunse. - “La signorina Ariette ha acconsentito a vederla, dovrebbe solo attendere una decina di minuti, poi potrà salire.”
“E io cosa le avevo detto?!” - rispose Jackie con fare trionfante. Dopodiché rimase ad attendere il momento per salire.
Dal rumore di passi che sopraggiungevano dal fondo del corridoio, Don Luca aveva intuito che la riunione fosse terminata. Ora attendeva solo la conferma che tutto fosse andato bene.
Attorno a lui aveva Riccardo e Ciro, ai quali per portarsi avanti iniziò a dare indicazioni su cosa avrebbero dovuto fare. - “Bene, non appena arriva Montgomery, lo prendere e lo accompagnate direttamente in albergo, poi non vi muovete da lì…” - la sua attenzione fu distolta dall’apparizione delle prime figure in fondo al lungo corridoio. Distinse subito Montgomery e vide che aveva un’aria preoccupata. Se avesse portato brutte notizie avrebbe potuto lasciarci la pelle all’istante.
Mentre pensava a queste cose non si accorse della presenza che si materializzò alle sue spalle. Dal nulla era sbucato Livio, il quale aveva passato l’intera mattinata imboscato al piano superiore. - “Don… abbiamo un problema.”
L’espressione di Don Luca si fece grave. - “Che genere di problema?”
Il picciotto si avvicinò e, abbassando ulteriormente la voce, aggiunse - “Ho tenuto sotto controllo tutta la riunione… al termine, dopo la votazione, ho visto il segretario uscire dalla porta, dare dei documenti ad un buttafuori e parlargli fitto…” - si fermò solo per un momento, quando vide che era tornato Montgomery e che stava provando ad interromperlo per parlare con il Don, ma poi riprese - “…dopodichè il buttafuori è entrato in una delle sale vicino a quella della riunione, una di quelle si affaccia alla strada qui davanti, ed ha appeso un drappo di colore rosso alla finestra. Questa faccenda puzza di guai.”
Mentre il finto Giulio tentava ancora di richiamare l'attenzione, il Don gli rispose.
“Sì, è davvero una brutta faccenda e ora dobbiamo cambiare i nostri piani, qui dobbiamo ancora fare qualcosa..” poi si volse verso il loro Tarano e vide che questi sembrava volesse dirgli qualcosa di veramente importante.
“Don Luca… durante la riunione c’è stato un imprevisto… il segretario mi ha dato questo…” e senza fare movimenti troppo evidenti, estrasse il pizzino che aveva ricevuto insieme ai documenti da firmare e glielo diede.
L’altro lo lesse e l’espressione si fece ancora più preoccupata.
“Livio… il drappo l’hai rimosso?” - gli chiese.
“No, non avevo modo di entrare in quella stanza senza farmi vedere. Magari ora che la via è un po’ più sgombra…“
Il Don non volle perdere tempo ed iniziò ad istruirli tutti.
“Allora… Livio… vai su e togli immediatamente quel drappo… con le buone… o con le cattive. Riccardo, Ciro… voi due adesso riaccompagnerete nella sala riunioni il nostro Giulio e cercate OVUNQUE quei documenti. Chiaro? E riguardo quel segretario… com’è che si chiama?”
Prese parola Montgomery. “Sì è presentato all’inizio della riunione, si chiama Vittorio Capomonte.”
Il Don fece un cenno d’assenso. “Ora andate.”
Il quartetto non fece in tempo ad incamminarsi verso il corridoio che venne subito fermato dalla donna dell’accoglienza. “Perdonatemi, ma dove vorreste andare? La riunione è finita…“
Fu Montgomery a risponderle. “Ho dimenticato alcuni miei incartamenti di sopra, stavo andando a recuperarli…“
La donna sembrava scettica. “E loro tre?”
Il ragazzo rispose imbarazzato. “Beh… uno è il mio portaborse… gli altri mi aiuteranno solo a fare più in fretta a trovare ciò che ho dimenticato… così leveremo il disturbo ancora più velocemente…“
A rafforzare questa giustificazione si intromise il Don. “Suvvia… e poi che disturbo possono dare? Come diceva la riunione è terminata…“
La donna iniziò a tentennare. “Eh va bene… ma per poco, fate davvero in fretta mi raccomando. Se non vi vedo tornare presto manderò la sicurezza a prendervi!” concluse seccamente.
“Mi scusi può ripetermi il suo nome?” chiese il Don con aria sorniona.
“Lucia Mandelli!” gli rispose la donna.
“Bene bene, ne ho preso nota.” - commentò Don Luca, che nella sua testa figurava già l’immagine della donna con un paio di scarpette di cemento anziché quelle di vernice che stava indossando ora. E mentre un sorriso appariva sul suo volto, gli altri quattro iniziavano ad incamminarsi per il corridoio.
I dieci minuti erano passati e finalmente poteva andare a scambiare quattro chiacchiere con Livì. Dentro di lui sapeva che molto probabilmente non sarebbe stata una conversazione molto piacevole, ma arrivati a quel punto, se davvero voleva battere quella pista, non poteva tirarsi indietro.
Bussò due colpi alla stanza 305. La porta si aprì e apparve un uomo di colore alto e grosso che si era fermato sulla soglia.
Dall’interno si sentì la voce di Livì. “Lascialo entrare, lo stavo aspettando.”
Jackie percorse pochi metri e trovò la ragazza seduta davanti ad uno specchio intenta a spazzolarsi. Sì, era decisamente bella. Proprio come se la ricordava.
Livì, quando lo vide sopraggiungere, si alzò e andò a salutarlo.
“Buon giorno signorina Livì… mi ha fatto piacere constatare che lei si ricorda ancora di me…” disse Jackie che era davvero soddisfatto.
La ragazza sorrise in risposta. “Certo che mi ricordo… beh non sarà passato nemmeno un anno… era per me ancora l’inizio… il vero successo è arrivato dopo e la sua intervista la ricordo con piacere, mi ha fatto una buona pubblicità!”
“Ne sono contento Livì. Ma… a proposito di pubblicità… ho visto i manifesti appesi per la città… e che per San Petronio sarà al Club Apollo… è un peccato…” commentò l’orientale.
La ragazza sorrise nuovamente. “Ah! E’ vero che lei è un po’ di parte! Dimenticavo la sua vicinanza alla famiglia di Don Tommaso…“
“Beh il mio commento non voleva essere di parte… pensavo solo al meglio per lei… Ed era anche un suggerimento che le arriva direttamente da Don Luca…” - asserì Jackie.
L’espressione di Livì si fece stupita. - “Lei ha parlato con Don Luca?” sembrava che la voce fosse diventata tremante.
“Beh sì, l’ultima volta l’ho visto ieri sera e mi ha ancora parlato di lei e di quanto la volesse per la festa del suo Club…“
La ragazza sentendo quelle parole sembrava rinfrancata. Poi si strinse nelle spalle. - “Mi spiace ma ormai ho già preso accordi con Don Orazio e non posso fare diversamente… ho ricevuto anche un’offerta dalla famiglia dei Santè, ma diciamo che è stata tardiva. Comunque sia sono contenta così.” ma il suo sorriso apparve un po’ spento, poi riprese - “Quindi è venuto qui per farmi un’intervista pre-San Petronio?”
Jackie scosse il capo. “No… in realtà avrei alcune domande da porle su di un argomento meno frivolo.” vide su un tavolo una copia della Voce di Crylo e riprese “Come sicuramente avrà avuto modo di apprendere dai giornali stanno succedendo cose gravi in città… come la morte di ieri di quel giornalista dello sCRYviLO…“
La ragazza non batteva ciglio. “Sì, ho letto tutto in proposito.”
“Bene.” riprese Jackie “Ma diciamo che lei non ha letto tutto ciò che c’è da sapere su questo caso. Non so bene come, ma forse sarà in grado di dirmelo lei, ma sembra che lei si implicata, anche se indirettamente, nell’uccisione del giornalista.” - si fermò per vedere la reazione della ragazza e vide che da angelica era mutata, il sorriso su quel volto si era perso.
“Vede Livì… sembra che in qualche modo c’entrino sue foto… se me ne volesse parlare…” - continuò il giornalista.
Lo sguardo della ragazza sembrava pieno di collera, ma riuscì a controllarsi e dopo aver visto che la sua guardia del corpo la stava fissando, invitò l’orientale a seguirla sul terrazzo.
Una volta accomodati, gli rispose “Mi spiace ma temo che alle sue orecchie siano arrivate solamente menzogne, non so di che foto sta parlando…“
Jackie iniziò a raccontare con calma del bigliettino trovato in tasca ad uno dei cadaveri e poi chiese: “Lei aveva già incontrato Gabriel Novice?”
La ragazza alzò le spalle. “Non saprei dirle, con il lavoro che faccio sono spesso a contatto con voi giornalisti, ma non ricordo se ho già avuto a che fare con lui.”
L’orientale comprese che la ragazza si stava chiudendo ermeticamente e allora decise che forse era meglio spingerla a ragionare. “Livì, per il suo bene e per non far sì che accadano ancora tragedie come quella di ieri, sarebbe il caso che lei mi raccontasse tutto ciò che sa… senza nascondersi.”
“Le ho detto ciò che so, ovvero nulla.” gli rispose seccamente la donna.
“E circa l’esistenza di sue foto… che potrebbero essere ricollegate a Gabriel cosa mi…” ma venne interrotto da Livì.
“Come glielo devo dire? Non so proprio di cosa sta parlando. E considero l’argomento chiuso.” la ragazza sembrava aver chiuso la possibilità a qualsiasi tipo di dialogo.
“Io le sto dando una via d’uscita… parlandone potremmo venirne a capo e risolvere i problemi che ne conseguono… perché vuole chiudere la porta a questo tipo di soluzione?” - incalzò Jackie.
“Signor Lee…” - questa era la prima volta che Jackie si sentiva chiamare in quel modo - ”…l’unica porta che vedrà chiudersi dietro le sue spalle è la stessa che ha varcato poco fa per entrare. E la inviterei a percorrerla. Ora.” - concluse acidamente la donna.
L’orientale capì di non essere più il benvenuto, ma volle provare a riportare la conversazione su argomenti più sereni. “Va bene Livì, capisco che forse non è il caso di continuare a parlare di questa faccenda. Se ha ancora qualche minuto da dedicarmi vorrei farle una normale intervista circa lo spettacolo che proporrà al Club…“
L’espressione di Livì non era minimamente cambiata. “Forse non sono sta chiara, in tal caso vedrò di porvi rimedio subito. Non ho la minima intenzione di continuare questa conversazione con lei, la pregherei di lasciare la mia stanza.”
Ormai tirava una brutta aria, era proprio giunto il momento di andarsene.
Livio trovò chiusa la porta della sala alla cui finestra era stato appeso il drappo, ma si ricordò che il suo Don gli aveva detto di usare pure le altre maniere… quelle cattive.
Mise Ciro a fargli da palo vicino alle scale e con un calcio spalancò la porta. Si diresse immediatamente alla finestra dove vide quel foulard rosso ancora agganciato dove l’aveva visto in precedenza. Si sporse dalla finestra per avere una visione della situazione. Guardò in strada ma non vide nulla di anomalo, dopodiché, senza indugiare, tolse il drappo e se lo ripose all’interno della giacca.
Riccardo e Montgomery iniziarono le ricerche di quei documenti, ma non trovarono nulla. Presto furono aiutati anche dagli altri due picciotti, ma la ricerca si concluse senza successo.
Dopo circa un quarto d’ora decisero che era meglio tornare al piano di sotto e raggiunsero Don Luca che era rimasto lì ad aspettarli.
“Tutto fatto?” chiese impaziente ai suoi.
Il primo a rispondere fu Livio. “Il drappo è stato tolto…“
Riccardo e Ciro sembravano più titubanti. “Noi abbiamo avuto meno fortuna… di sopra abbiamo cercato ovunque ma non c’è stato verso… probabilmente quei documenti sono già stati portati via.”
“Porca…” ma Don Luca si trattenne…
Montgomery si rivolse a Riccardo: “Hai avuto modo di vedere se qui al piano di sotto ci sono altre uscite? Magari qualcuna che dia sul retro… non mi fido di quel drappo appeso…“
Don Luca tentò di rincuorarlo. “Stai tranquillo, ormai quel drappo l’abbiamo tolto.”
E il finto Giulio rispose nuovamente. “Ma che vuol dire? Poteva essere anche solo un segnale… una volta visto magari ha innescato qualcosa…“
“Sì… che la mia pazienza si sta esaurendo.” - rispose secco in Don “Adesso torniamo tutti in albergo.” poi rivolgendosi ai picciotti “Voi tre circonderete Montgomery, tenendolo stretto in mezzo a voi e velocemente attraversiamo la strada ed entriamo al Royal.”
Montgomery non era affatto convinto di quel piano ma sapeva che sarebbe stato inutile insistere.
Don Luca si tenne un po’ più a lato dell’altro gruppetto dei quattro e tutti insieme iniziarono l'uscita dalla Sala Congressi.
Il sicario vide finalmente uscire la persona che stava aspettando.
Aveva iniziato a dubitarne, l'attesa si era fatta più lunga rispetto a quanto gli era stato detto e l'aver visto rimuovere il segnale dalla finestra l'aveva spinto a pensare inizialmente ad un contrordine e successivamente al fatto che forse non si voleva destare troppo l’attenzione.
Ma ora il bersaglio era lì.
Angelo accarezzava il grilletto del suo fucile. Doveva essere preciso, dannatamente preciso. Anche in virtù del fatto che il suo obiettivo era attorniato da altri uomini.
Lo spazio per colpire era molto limitato.
A pochi passi c'era pure Don Luca. Tutto sommato non stava venendo meno a nessun patto con lui. La sera prima ci aveva tenuto bene a precisare che fino a domani non avrebbe fatto del male alle persone della lista che aveva stilato. Ma ora quel domani era arrivato, ed era libero di colpire.
Serviva una freddezza immensa. Se per errore al posto di Giulio Tarano avesse fatto la pelle ad uno dei picciotti si sarebbe trovato contro Don Luca… o peggio ancora Don Tommaso… meglio non pensarci.
Concentrarsi sul grilletto e sul suo bersaglio. Era al centro della strada… rallentato dal traffico. Era il momento.
Il proiettile partì e centrò in modo perfetto il bersaglio, passando in mezzo a Livio e Riccardo e penetrando la carne di Montgomery tra il collo e la spalla.
Subito dopo aver premuto il grilletto, il Macellaio si era spostato dalla precedente posizione di tiro. Si era tirato indietro per scomparire e poi era tornato a lato della finestra, in un punto nascosto per osservare la situazione.
Non appena il proiettile lo colpì, il corpo di Montgomery cadde rovinosamente al suolo.
Don Luca e i suoi picciotti si guardarono intorno per cercare di capire da dove era partito il colpo ma non notarono nulla.
E allora fu dato l’ordine: “Sollevatelo di peso e portatelo dentro l’albergo. Veloci!”
I picciotti non se lo fecero ripetere due volte e riuscirono a portarlo al centro della Hall.
Nino, il receptionist, rimase davvero scosso nel vedere la scena che si stava parando di fronte ai suoi occhi.
Vedeva Giulio Tarano privo di sensi con la camicia inzuppata di sangue. Il colpo era arrivato a pochi centimetri dalla giugulare. Per pura fortuna era ancora in vita… o quasi.
Don Luca si diresse immediatamente verso Nino. “Da adesso in avanti mi occupo io di tutti i messaggi che potrebbero arrivare in albergo per Tarano. Qualsiasi chiamata o richiesta ne prenderai nota e me la farai avere. E soprattutto, per quello che ne sai tu, non è successo niente. E Giulio Tarano alloggia e alloggerà ancora qui. Anche se ora lo porteremo via. Inutile ricordarti quanto sia importante che tu non ti faccia scappare niente.”
Dal centro della sala arrivò la voce di Ciro: “Don, ma questo sta tirando le cuoia qui… non credo che ci convenga trasportarlo in villa… sto qua ci saluta al primo semaforo rosso…“
Il Don si fermò a riflettere. Montgomery doveva sopravvivere e rimettersi in salute. Possibilmente presto se fossero state necessarie sue firme entro sabato. Si volse nuovamente verso il receptionist. “Chiama un’ambulanza e falla arrivare presto.”
Mentre si sentiva in lontananza il suono della sirena dell’ambulanza, Jackie fece apparizione nella Hall dell’Hotel.
Vide Don Luca e i suoi picciotti intorno a un ragazzo morente riverso nel proprio sangue. Provò a pensare se conosceva qualche tecnica per bloccare il fluire del sangue verso l’esterno ma vide che la ferita era troppo vicina ad un’area vitale, colpirlo in quel punto poteva essere fatale. Meglio evitare… soprattutto perché da quanto sentiva l’ambulanza era ormai vicina.
“Ma cosa diavolo sta succedendo qui dentro?” chiese l’orientale.
“Niente Jackie, un mio uomo è stato colpito.” fu la risposta striminzita del Don.
“Ma da chi? E chi è questo ragazzo?” incalzò Jackie.
“E’ bene che nessuno lo sappia.” rispose freddamente Don Luca.
Fece per estrarre la sua macchina fotografica ma il Don gli fece un gesto per bloccarlo. “E’ bene che nessuno lo sappia.” ripeté nuovamente.
Gli uomini del soccorso entrarono nella Hall ed iniziarono ad occuparsi di Montgomery. Nel giro di dieci minuti l’avevano caricato su di un lettiga, ma qualche strattone dato per issarlo forse ne aveva peggiorato le già precarie condizioni.
Mentre lo stavano portando fuori per caricarlo sull’ambulanza, il Don impartì nuovi ordini: “Riccardo tu sali sull’ambulanza con lui, tu Livio prendi una macchina e seguili fino all’ospedale.”
Don Luca si riavvicinò per scambiare qualche altra parola con Nino.
Jackie invece chiese ad un facchino se c’erano delle altre uscite sul retro. Il facchino rispose affermativamente e lo condusse dopo un percorso più o meno tortuoso fino ad una porticina che dava sulla strada sul retro.
Non c’era nessuno che stava scappando, tutto sembrava tranquillo.
Dall’altra parte della strada vide che c’era un commerciante di tessuti che esponeva la sua mercanzia direttamente sulla strada. Provò ad avvicinarsi e a chiedergli se aveva visto qualcuno uscire dalla porta dalla quale era passato lui.
“Mi faccia pensare… no… direi proprio di no… e me ne sarei accorto! Quella porta non si apre quasi mai… solo quando devono buttare la spazzatura…” rispose il commerciante.
“Ah… bene… la ringrazio, mi ha fatto risparmiare parecchio tempo.” disse Jackie mentre tornava sui suoi passi.
Tornato nella Hall vide che Don Luca e Ciro non c’erano più. Ma c’era Nino parecchio agitato dietro il bancone della reception.
“Mi scusi se la disturbo ancora… ma ha chiamato la polizia?” chiese l’orientale.
“No… non è il caso.” disse tremante il receptionist.
“Ma come non è il caso?! Dopo quello che è successo….” ribatté Jackie.
Nino scosse il capo e sospirando aggiunse: “E’ bene che nessuno lo sappia.”
Jackie era incredulo. Sapeva bene quanto potere potesse avere Don Luca nella parte sud di Crylo ma non si aspettava tanto. E c’era un omicida ancora nei paraggi.
E se fosse lo stesso del pomeriggio precedente? In tasca aveva ancora un foglio strappato dal quotidiano, quello che conteneva l’identikit dell’assassino. Si avvicinò a Nino e provò a mostrargli quella bozza. “Per caso un tizio che corrisponde a questo disegno ha preso una camera qui? O comunque l’ha visto aggirarsi da queste parti?”
Nino guardò bene quell’immagine e scosse il capo. - “No, sono sicuro di non aver affittato camere a nessuno che possa somigliare a quest’uomo…” - poi si concentrò e aggiunse - ”… e posso anche escludere di averlo visto qui oggi.” - sembrava sincero ma Jackie non si fidava.
“E’ importante. Se solo le capita di vederlo mi faccia sapere.” - volle aggiungere Jackie.
Poi vide ripassare il facchino di prima e provò a chiedergli se c’erano altre uscite sul retro.
“No… solo quella che ha visto… per lo meno sul retro. Poi avremmo un’altra uscita nel piano interrato… che è più che altro un parcheggio…” - disse il ragazzo.
“Portami subito lì!” - disse Jackie senza perdere tempo.
Arrivato nel posto descritto, l’orientale vide che era oltre modo tranquillo, non volava una mosca. Si girò verso il facchino e chiese: - “C’è modo di sapere se qualcuno è uscito da qui?”
Il facchino annuì col capo. - “Certo! Per uscire da qui dobbiamo per forza far alzare la sbarra che c’è all’uscita, sennò non è possibile.”
“E qualcuno ne ha fatto richiesta oggi?” - incalzò Jackie.
“No, direi proprio di no.” - concluse il facchino.
L’orientale ringraziò e tornò nuovamente nella Hall.
La chiazza di sangue era ben evidente sul tappeto al centro della sala e proseguiva lungo le scale all’uscita, fino al centro della strada.
Nonostante le parole di Don Luca non riuscì a trattenersi e decise di scattare un paio di foto in cui risaltassero le chiazze di sangue ben visibili al centro della Hall e anche di quelle sulla strada che poi conducevano all’ingresso dell’hotel.
Angelo aveva visto tutta la scena dalla finestra. La persona portata via dall’ambulanza sembrava in uno stato pessimo, ma forse era meglio accertarsi di aver portato a termine il lavoro.
Osservando costantemente la strada aveva avuto modo di vedere che sia Don Luca che tutti i suoi picciotti se n’erano andati via.
Smontò velocemente la sua attrezzatura e la ripose in una custodia da chitarra. Per l’occasione si era camuffato in modo irriconoscibile e questo gli avrebbe permesso di lasciare l’albergo del tutto indisturbato.
Una volta giunta all’ospedale l’ambulanza scaricò il suo ospite, che venne portato d’urgenza in sala operatoria. Riccardo cercò di seguirlo ma venne bloccato da uno stuolo di infermiere che gli impedirono di procedere.
“Lei è parente?” - gli fu chiesto.
“No, ma devo seguirlo.” - rispose inutilmente.
“Mi può dare le generalità del suo amico?” - fu la domanda successiva.
“E’…” - si fermò… non sapeva esattamente sotto quale nome presentarlo. Poi si decise: - “E’ Giulio Tarano. Ma ora devo procedere, devo seguirlo.”
“Oh, suvvia, si metta l’anima in pace, tanto non può entrare in sala operatoria, attenda qui” - gli disse l’infermiera che gli stava facendo l’interrogatorio.
Dopo qualche istante arrivò anche Livio e dopo altri dieci minuti anche Don Luca e Ciro.
“Come sta?” - chiese il Don.
“L’hanno portato dentro d’urgenza… ma non è da molto che è dentro…” - gli rispose.
Una voce femminile interruppe il loro dialogo. - “Lo stiamo perdendo…” - la voce arrivava dalla sala nella quale avevano portato Montgomery.
Passarono un’ora lì in ospedale per cercare di avere qualche notizia confortante, ma dopo quel lungo lasso di tempo uscì un’infermiera che non diede notizie troppo incoraggianti. - “Quel ragazzo è messo malissimo, sta lottando tra la vita e la morte… l’operazione sarà ancora molto lunga e non siamo in grado di garantire che il paziente sopravvivrà…“
A quelle parole Don Luca si mise una mano sul viso, poi girandosi verso Ciro gli disse che per loro due era arrivato il momento di tornare in villa, ci avrebbero pensato gli altri ad aggiornarli sulla situazione.